mercoledì 21 maggio 2014

100 motivi italiani

Ecco perché, nonostante tutto, siamo felici di essere italiani. 1. Perché siamo intelligenti, quando non diventiamo astuti 2. Perché siamo intuitivi, se non cadiamo nella superficialità 3. Perché siamo immediati, quando non diventiamo impulsivi 4. Perché siamo imprevedibili, se non diventiamo inaffidabili 5. Perché siamo geniali. Nessuno è altrettanto bravo a trasformare una crisi in una festa 6. Perché siamo gentili e capaci di bei gesti (poi abbiamo difficoltà a trasformarli in buoni comportanti) 7. Perché abbiamo gusto. Sappiamo istintivamente cos’è bello 8. Perché, talvolta, anteponiamo l’estetica all’etica. E’ sbagliato, ma resta comunque uno spettacolo 9. Perché siamo interessanti. Turisti, uomini d’affari, Angela Merkel: con noi non ci si annoia 10. Perché nel mondo ti guardano. In Italia ti vedono 11. Perché la campagna è un’educazione sentimentale (nord) 12. Perché la vita è un saliscendi (centro) 13. Perché il mondo è un’idea a colori (sud) 14. Perché le città sono attraversate dalla storia e dalla gente 15. Perché Milano è la nostra America, la terra delle opportunità 16. Perché Trieste è il sud del nord, il nord del sud, l’est dell’ovest e l’ovest dell’est 17. Perché Venezia fa credere a ogni turista d’essere un poeta 18. Perché Genova sorride, mostrando i denti al mare 19. Perché Firenze e Torino si sono svegliate 20. Perché Napoli e Bari si danno le spalle, ma si rispettano 21. Perché il caldo in Calabria è profumato 22. Perché in Sicilia la linea più breve tra due punti è un arabesco (grazie, Ennio Flaiano) 23. Perché la Sardegna ha un gran cuore e una gran pazienza 24. Perché il traghetto verso Olbia è un viaggio al termine della notte 25. Perché, come negli Usa, esiste un nord e un sud. Cercate Rossella O’Hara a Matera. Magari si chiama Samantha, ma c’è 26. Perché il cielo di Lombardia, certi giorni, è più azzurro della maglia della Nazionale 27. Perché Lucia Mondella è più sexy di una modella (ieri, ora e sempre) 28. Perché abbiamo la testa in Europa, la pancia al vento e i piedi a mollo nel mare 29. Perché d’estate fa più caldo e d’inverno fa più freddo. Così possiamo rinfrescarci, riscaldarci e lamentarci 30. Perché le mattine hanno sapore di mare (Gino Paoli), il pomeriggio è azzurro (Celentano) e poi è una notte in Italia (Ivano Fossati). 31. Perché abbiamo i tigli nei giardini, gli abeti sui monti e i papaveri nei campi 32. Perché le Alpi, a un certo punto, si spogliano della neve e si lasciano guardare 33. Perché i vip hanno le loro tane (dove sgomitano coi ricchi russi) e tutto il resto è libero 34. Perché arriva il momento in cui spengiamo i motori e i risentimenti 35. Perché il calcio è un gioco (ogni tanto) 36. Perché tutti hanno giocato a calcio 37. Perché i gusti del gelato sfiorano la metafica (puffo, amarissimo, basilico) 38. Perché nei treni corre la vita (sui regionali, piuttosto lentamente) 39. Perché negli aeroporti all’alba sembriamo una nazione ordinata 40. Perché non tutti gli spettacoli all’aperto sono spettacolari, ma sono tutti all’aperto 41. Perché nelle feste balliamo anche senza essere sbronzi 42. Perché negli alberghi capiscono subito chi sei, e se lo ricordano 43. Perché nei ristoranti lavorano uomini e donne, non robot 44. Perché abbiamo il mare, le montagne, le colline, la pianura, città poetiche, isole profumate, fiumi vivaci e grandi laghi. Certo, mancano il Gran Canyon e la Grande Muraglia. Ma ci stiamo organizzando 45. Perché gli italiani hanno saputo dipingere, scolpire, raccontare, cantare, recitare, arredare e vestire la vita 46. Perché abbiamo scoperto l’America per caso 47. Perché l’antica Roma era potente e la nuova Roma può essere divertente 48. Perché a Milano c’è la Scala del calcio, e anche l’altra 49. Perché abbiamo il “Corriere della Sera”, che segna il tempo di una vicenda che avanti 50. Perché le famiglie sono alberghi e ristoranti, banche e assicurazioni, asili e ospizi (e resistono anche al Family Day) 51. Perché gli americani si mettono in analisi, noi ci sediamo a cena con i figli 52. Perché a tavola mettiamo pane, amore e fantasia 53. Perché abbiamo insegnato a mangiare al mondo. Be’, forse non a tutti: ma ai francesi, agli inglesi e agli americani certamente sì 54. Perché abbiamo cappuccinizzato il pianeta, e in Italia un caffè non si nega a nessuno 55. Perché abbiamo inventato la pizza, la Vespa, la Fiat 500, l’Olivetti Lettera 22 e la giacca da donna. Quando teniamo le cose semplici, non ci batte nessuno 56. Perché molti ci criticano, ma tutti ci copiano 57. Perché le chiese di campagna sono meglio di certi difensori della fede 58. Perché l’Argentina è l’Italia alla seconda potenza e ci ha mandato un grande Papa e alcuni ottimi centravanti 59. Perché abbiamo il capo di governo più giovane d’Europa, e chissà cosa combina 60. Perché abbiamo il Presidente più anziano, e sappiamo quanto ha fatto 61. Perché ogni tanto rovesciamo la bandiera (rosso a sinistra?!), ma le vogliamo bene 62. Perché scriviamo leggi così complicate che talvolta ci dimentichiamo di rispettarle 63. Perché siamo troppo indulgenti con imbroglioni e farabutti, ma li riconosciamo subito 64. Perché siamo autocritici, se non diventiamo autolesionisti 65. Perché abbiamo la Grande Bellezza che vince l’Oscar e la piccola bontà che fa girare il mondo 66. Perché abbiamo il servizio sanitario nazionale, la scuola pubblica e i carabinieri 67. Perché medici, infermieri, insegnanti e poliziotti lavorano molto per poco 68. Perché c’è sempre qualcuno che prova a incoraggiare qualcun altro 69. Perché la donna è mobile e l’uomo pure; i ragazzi, non parliamone. Viva lo smartphone! 70. Perché accendiamo l’aria condizionata solo quand’è necessario 71. Perché sappiamo pensare con le mani 72. Perché i campi non hanno mai l’aria annoiata 73. Perché dove le valli si aprono nella pianura qualcuno ha aperto una fabbrica che dà lavoro 74. Perché intorno a Bologna e a Modena costruiamo macchine precise e romantiche 75. Perché il Veneto è il nostro Texas 76. Perché a Memphis ci copiano il caffè e la pizza, ma noi a Melfi gli facciamo le Jeep 77. Perché all’università di Pavia i ragazzi studiano sotto le magnolie e il glicine 78. Perché in ogni laboratorio del mondo ci sono un computer, una pianta verde e un italiano (prima o poi restituitecelo, però) 79. Perché certi paesotti lungo le strade provinciali sono così brutti da diventar simpatici 80. Perché camminare nelle città di notte produce un rumore interessante 81. Perché le piazze sono salotti e sale d’attesa, mercati e assemblee, passerelle e palestre 82. Perché abbiamo vecchie case bisognose di amore e manutenzione 83. Perché, se vedete qualcuno con le mani in mano, c’è una spiegazione. Se le sta fregando e pensa: bene, adesso che si fa? 84. Perché diciamo “criticità”, ma in fondo non siamo tanto critici 85. Perché parliamo in inglese, soprattutto quando parliamo italiano (è più trendy, baby) 86. Perché amiamo confondere chi ci giudica 87. Perché sappiamo che quei giudici, talvolta, hanno ragione 88. Perché siamo attirati dalle eccezioni, ma ogni tanto ricordiamo anche le regole 89. Perché siamo resilienti, non ancora rassegnati 90. Perché siamo convinti che nulla sia veramente impossibile (Berlusconi monogamo?!) 91. Perché tutti sono rivali di tutti, ma in fondo ci sopportiamo 92. Perché governare noi è come condurre un branco di gatti (ma i gatti hanno più personalità delle pecore, diciamolo) 93. Perché le strade offrono un campionario di facce. Difficile sentirsi diversi, quando di uguale non c’è nessuno 94. Perché abbiamo il senso dell’umorismo. E ridiamo di chi non ne ha 95. Perché nulla è stabile, se escludiamo il provvisorio 96. Perché ogni tanto ci cadono le braccia, ma poi le tiriamo su 97. Perché siamo quello che gli altri vorrebbero essere, almeno talvolta. E non osano 98. Perché lo donne italiane lo sanno 99. Perché l’Italia è piena di ragazze e ragazzi italiani, e adesso tocca a loro 100. Perché sorridiamo, nonostante tutto

venerdì 11 aprile 2014

Lavoro

Quante ore dedichiamo al lavoro ogni settimana? Fare il conto è diventato pressoché impossibile. Quaranta? Trenta? Trentasette? La verità è che, per molte professioni, l’orario di lavoro non esiste più. Semplicemente si comincia quando ci si sveglia. E si smette un attimo prima di spegnere l’abat-jour. L’altra faccia della medaglia è che talvolta il privato si conquista pezzi dell’orario standard di lavoro. Questione di sopravvivenza. Spesa online, colloqui con i professori dei figli, il nonno da portare alla visita di controllo: non si può fare altrimenti. Lucy Kellaway, pregiata columnist del Financial Times, ha coinvolto i suoi lettori in un esercizio semplice solo in apparenza: conteggiare le proprie ore di lavoro settimanali. Sembrava facile, invece…
L’impresa si è arenata su un quesito cruciale:
«L’idea per questa rubrica mi è venuta mentre me ne stavo nella vasca da bagno: era relax o era lavoro?», si è chiesta la Kellaway, senza riuscire a darsi una risposta. Il tema ha coinvolto i lettori.
Tra i commenti, quello più illuminante è venuto da tale Philip G. Cerny, professore emerito di Politica e affari globali. «La verità è che il lavoro non si può più misurare in ore — fa notare Cerny —. Andrebbe parametrato sui risultati».
E da noi, in Italia, come va? Non tanto bene per la verità. L’Ocse ci ha spiegato di recente che gli italiani lavorano 200 ore più dei danesi, addirittura 300 più di olandesi e tedeschi. E il tutto guadagnando di meno. Colpa di un sistema produttivo che in questi anni ha perso terreno. Se c’è una piscina da svuotare, un conto è avere a disposizione un secchio, un altro poter contare su un’idrovora. Gli italiani spesso hanno il secchio. E quindi devono lavorare di più (pagati di meno). Poi c’è un problema culturale. Le aziende valutano ancora il personale per le ore spese in ufficio e non per i risultati. Anacronistico. Tanto più che oggi le tecnologie permettono di lavorare dappertutto. E allora dovrebbe funzionare il lodo Kellaway: le buone idee comandano, anche quando fanno capolino mentre si sta nella vasca da bagno.
In Italia sono le aziende straniere a fare da apripista, dall’alta tecnologia al credito. Microsoft, Ibm, Coca-Cola, Nestlé, Siemens, Plantronics, Alcatel, L’Oréal e di recente anche Sanofi hanno introdotto nuove modalità organizzative che lasciano liberi i dipendenti di lavorare da casa o da dove preferiscono: alla fine contano i risultati.
Le imprese italiane per il momento stanno a guardare. Ma se è vero che i dipendenti devono usare il secchio al posto dell’idrovora, allora lasciare loro la libertà di organizzarsi potrebbe portare delle sorprese.
Il «rischio» è che per avere un po’ di libertà di manovra in più il personale diventi anche più produttivo. Per di più si tratterebbe di una politica di conciliazione famiglia-lavoro, la chiamano gli inglesi) a basso costo.
Nel disegno di legge delega sul lavoro si parla dell’incentivazione di contratti collettivi che rendano flessibile l’orario anche grazie al telelavoro. Diciamo che la formula è un po’ vaga. Ci sta dentro di tutto, dal vecchio telelavoro al lavoro smart o agile. Che poi sono due modi di dire la stessa cosa: lavorare dove e come si vuole nella consapevolezza di essere valutati sui risultati. Tra tante «svolte buone», questa potrebbe essere ottima.

giovedì 6 marzo 2014

L'unica

L'unica – di T. Cerasuolo, C. Lo Mele, A. Baracco, P. Giancursi


Erika, tu eri l’unica

ma soprattutto nelle ore di ginnastica

per te solo al pensiero

io mi sentivo uomo

per te io componevo inutili poesie.

Angela, serata libera

dentro al silenzio nella camera dei tuoi

abbiamo rifatto il letto

ci ha visti solo il gatto

con la paura dello scatto della serratura

Monica, confetti e musica

un tatuaggio che ora anch’io so dove sta

la messa è già finita

tu ti sei rivestita

e siamo gli ultimi invitati ad andare via.

Chi sono io?

Cosa sarò?

Che cosa sono stato

tra quello che ho vissuto

e quello che ho immaginato?

Ora di te cosa farò?

È così complicato

se muoio già dalla voglia

di ricordarti a memoria

se muoio già dalla voglia

di ricordarti a memoria.

Come stai, Arianna? Sono io

e tuo marito che da sempre è amico mio

parlarci di nascosto

noi non abbiamo un posto

ma quel che manca veramente è dirsi addio.

Sara perché ti amola gente giudica ma poi si dà di gomito

molto più giovane di me

tutti ci invidiano perché

entrambi abbiam problemi di maturità.

Chi sono io?

Cosa sarò?

Che cosa sono stato

tra quello che ho vissuto

e quello che ho immaginato?

Ora di te cosa farò?

E’ così complicato

se muoio già dalla voglia

di ricordarti a memoria

se muoio già dalla voglia

di ricordarti a memoria.



giovedì 6 febbraio 2014

Nuova impresa

Nei primi nove mesi del 2013 il 34% delle imprese aperte ha un titolare under 35. Eppure mettersi in proprio è tutt’altro che semplice. Qui una piccola guida su quello che c’è da sapere per avviare un’azienda. Come districarsi tra gli adempimenti da compiere e i costi da sostenere.




LA FORMA GIURIDICA - Innanzitutto bisogna scegliere quale forma giuridica adottare. Le imprese si distinguono in società di persone e in società di capitali. Per costituire una S.n.c. (Società in nome collettivo) è necessario un atto scritto registrato presso la Camera di commercio di appartenenza che deve contenere: generalità dei soci, ragione sociale, indicazione dei soci amministratori ai quali spetta la rappresentanza della società, oggetto sociale, indicazione della sede, conferimenti di ciascun socio.



LA COMUNICAZIONE UNICA - Per cominciare è necessaria la Comunicazione Unica per la nascita d’impresa previsto da una legge del 2007 e vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l’iscrizione al registro delle imprese. Essa ha effetto a fini previdenziali, assistenziali, fiscali. L’ufficio del registro delle imprese, contestualmente alla presentazione, rilascia la ricevuta che costituisce il titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale. Le amministrazioni competenti destinatarie della comunicazione sono gli uffici del registro delle imprese delle camere di commercio, l’Agenzia delle Entrate, l’Inps, l’Inail, le commissioni provinciali per l’Artigianato, il ministero del Lavoro.



I DOCUMENTI - Prima di presentare domanda d’iscrizione è necessario avere il contratto con la camera di commercio che consente gratuitamente di accedere al servizio di spedizione delle pratiche telematiche. Il dispositivo per la firma digitale che consente di sottoscrivere digitalmente la modulistica. Obbligatorio per le nuove iscrizioni anche la poste elettronica certificata che consente di ottenere la ricevuta della pratica di comunicazione unica.



LA TIPOLOGIA - La tipologia di attività imprenditoriale, sia sotto forma di impresa individuale che societaria, può essere: libera, soggetta a licenza o autorizzazione oppure vincolata al possesso di requisiti autocertificabili . Per le seconde nell’istanza vanno dichiarati gli estremi del provvedimento autorizzativo rilasciato dall’istituzione competente. Per le attività soggette a vincolo alla richiesta va allegata la documentazione di competenza. Al registro delle imprese artigiane per le attività di installazione impianti e imprese di pulizia; Al registro delle imprese per le attività di agenti affari in mediazione, agenti e rappresentanti di commercio, mediatori marittimi e spedizionieri; allo Sportello Unico Attività Produttive per tutte le altre attività economiche.



I COSTI - Per quanto riguarda i costi, dipende dalle varie casistiche. Possono sintetizzarli in diritti di segreteria, imposta di bollo e diritto annuale.



LE ISCRIZIONI - Per le società di capitali e le cooperative s’iscrivono nella sezione ordinaria del Registro Imprese, secondo quanto previsto dal Codice Civile. Le società semplici s’iscrivono invece nelle previste sezioni speciali del Registro Imprese. La domanda d’iscrizione , la domanda di deposito dell’atto costitutivo (e la denuncia dell’attività ai fini Iva) va presentata da un notaio o un componente dell’organo amministrativo devono essere sottoscritte digitalmente.



GLI INCENTIVI - Capitolo importante è senz’altro quello degli incentivi destinati alle attività imprenditoriali (qui un prospetto con tutte le iniziative delle Regioni per stimolare la nascita delle imprese). Dalle agevolazioni ai contributi a fondo perduto sono molti gli enti locali che supportano lo startupper nella fase di avvio con sgravi fiscali e sul costo del lavoro nel caso si vogliano assumere dei collaboratori. Da oltre un anno peraltro è possibile creare una srl semplificata (con capitale ridotto fino a un euro), creata per chi ha meno di 35 anni. I costi sono ridotti (dovrebbero bastare meno di mille euro) e il capitale iniziale anche quindi è indicato per chi vuole partire senza rischiare troppo. Certo è che creata la società va gestita la contabilità e qui le spese per il commercialista variano in funzione del volume di affari. Meglio quindi trovarsi una sorta di “sponsor” dopo aver presentato il business plan (per scriverlo s’impara entrando in un “incubatore” o “acceleratore” di imprese. Per convincere qualcuno ad investire è necessario dotarsi di un piano realizzabile e credibile. Con le nuove regole previste dal decreto Sviluppo con il crowdfunding è possibile chiedere risorse alla Rete

giovedì 26 settembre 2013

Quando in Italia sentite sventolare una parola astratta, allarmatevi. Chi grida “Legalità!”, invece di limitarsi a rispettare a legge, ha in mente qualcosa di illegale, o almeno intende giustificarlo. Così, chi in queste ore si straccia le vesti per la “italianità” di Telecom, non ce la conta giusta.
Voce.info ha spiegato che “il problema non è tanto la frequenza delle scalate di aziende italiane da parte di investitori stranieri, quanto l’assenza di scalate di investitori italiani all’estero”. Ecco il punto. Anche aziende tedesche, inglesi e americane vengono acquistate: ma Germania, Gran Bretagna e USA fanno altrettanto nel mondo. Il processo italiano è a senso unico: vendiamo e non compriamo. Non siamo un mercato, stiamo diventando un supermarket.

Allo stesso modo, esportiamo giovani talenti e non ne importiamo. E questo – se è consentito – è più grave. Esportiamo giovani medici in Germania e Inghilterra; biologi, fisici e matematici negli Usa e in Scandinavia; talenti artistici in Francia, Spagna, Europa Orientale; chef, geologi e agricoltori in Australia; ingegneri e architetti ovunque. Ragazzi che trovano altrove la serenità, la prevedibilità e i redditi che meritano. Telecom Italia, in teoria, si ricompra. Ilaria, Tommaso, Antonio, Lucia, Iris e Alessandro rischiano di non tornare più.

Se importassimo altrettanti stranieri, potremmo dire: non è un fuga, è uno scambio. Ma non succede. Di 20 milioni di laureati nei paesi Ocse solo lo 0,7% ha scelto l’Italia: meno di quanti hanno scelto la Turchia. In Italia ogni 100 laureati nazionali ce ne sono 2,3 stranieri. Negli Usa sono 11, in Austria 12, in Svezia 14, in Olanda e Gran Bretagna 16, in Nuova Zelanda 21, in Canada 25, in Irlanda 26, in Australia 44. I laureati italiani trasferiti nei 30 paesi Ocse sono 395.229. Quelli che hanno fatto il percorso inverso 57.515. Vado avanti, o basta così?

Importiamo pochi talenti per mancanza di strategia in materia d’immigrazione; per complicazioni burocratiche (arrivare con il compagno/la compagna può diventare complicatissimo); perché non li vogliamo e/o possiamo pagare. In Nordeuropa, spiegava la neo-senatrice Elena Cattaneo a “Otto e Mezzo”, il responsabile d’un centro di ricerca non guadagna tremila euro, ma dodici/quindicimila. Tutto ciò fa rabbia: perché l’Italia è un posto dove tanti stranieri vorrebbero vivere per qualche tempo.

Riassumendo: non attiriamo i talenti altrui, e facciamo scappare i nostri. In tanti modi: eccone uno. Nel novembre 2012 è partito il meccanismo delle abilitazioni nazionali per l’idoneità a professore universitario associato e ordinario. Poi sono arrivate le proroghe: dal 30 aprile 2013 al 30 giugno, poi al 30 settembre e ora è attesa la proroga al 30 novembre. Mi scrive uno di loro, Alessio Ricagni: si vocifera che neanche quella scadenza verrà rispettata e si renderà necessario un ulteriore rinvio al 2014.


dal “Corriere della Sera”, 26.9.2013)




venerdì 29 marzo 2013

Caro Beppe,
Terzi si è dimesso l’avevi previsto, ma questo non incide più di tanto sulla pessima figura che stiamo facendo. Ci siamo resi ridicoli agli occhi del mondo, perfino in Zambia mi chiedono dei Marò…
Riportarli in Italia con la scusa del voto era stata una mossa astuta, non furba, e giustificata da i seguenti motivi:
1) rischiavano la pena di morte;
2) l’India non ha mai riconosciuto che ‘l’incidente’ è avvenuto in acque internazionali;
3) la questione Marò è strumentalizzata e ci sono fortissime pressione politiche.
Anche se volontariamente colpevoli, cosa che escluderei, non potevano essere lasciati lì in balia di una situazione che viola palesemente dei fondamentali diritti umani.
Andavano processati in Italia, o comunque da un tribunale internazionle, fanno un lavoro di merda, anacronistico e pericoloso erano in acque internazionali … dov’è il pilota dell’aereo americano che ha tranciato per gioco un cavo della funivia del Cermis? … In India? In Italia ? … no a casa … è stato condannato a 6 mesi per aver distrutto un video amatoriale della bravata … è uscito dopo 4 mesi e mezzo … ma ha fatto ricorso …
Come italiano all’estero non voglio godere dell’immunità, ma vorrei che il mio Stato mi tutelasse qualora i miei diritti non venissero adeguatamente tutelati.
Matteo Sametti, matteo@sport2build.org

Risposta :

L’India è una potenza amica, ma è una potenza emergente, e non va molto per il sottile. Soprattutto quando una vicenda tocca nervi sensibili nell’opinione pubblica. L’Italia? Per rimangiarsi la parola data non basta invocare qualche norma di diritto internazionale; occorre avere forza politica e prevedere le conseguenze. Se avessimo agito insieme all’Unione Europea e/o alla Nato, sarebbe stato diverso; e Nuova Delhi si sarebbe comportata diversamente. Con meno arroganza e più cautela, diciamo.

Gli incidenti in mare purtroppo sono numerosi, in quella parte del mondo. Ma non finisce sempre in questo modo. Riporto quanto ha scritto da Gianni Riotta su “La Stampa”:

“(…) nessuno ricorda mai che la Marina Militare di Sri Lanka, non certo una flotta da paura, ha ucciso negli ultimi anni 500 (cinquecento) pescatori indiani, ferendone migliaia, sequestrando pescherecci e attrezzature senza che i diplomatici mai venissero presi in ostaggio, i militari di Sri Lanka processati, che i governi montassero la propaganda etnica e populista. All’Italia gli indiani non hanno concesso quel che concedono agli Usa e a Sri Lanka. (….) Sull’Italia le autorità indiane, con passione militante le locali, riluttanti le nazionali, hanno deciso di puntare i piedi. Volevano una prova di forza che, agli occhi dell’inquieta opinione pubblica della sterminata democrazia e sulla scena mondiale dove la nuova India cerca prestigio, desse loro credibilità. Gliel’abbiamo data con ingenuità, l’hanno stravinta”.

Dimesso Terzi, in uscita Monti, dobbiamo pensare – in fretta – a cosa fare. Credo che UE e Nato abbiano una parte importante da giocare, anche adesso. Perché Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono là, non dimentichiamolo.

Fonte : italians - beppe severgnini 29.03.2013


martedì 26 marzo 2013

Largo ai giovani

Una app per condividere il proprio «frigorifero». E' l'idea di Giorgia Marenda e Luca Milan (di Treviso) in quartetto con Matteo Rosati e Elena Bertolin (di Mestre), vincitori del premio di quattromila euro per aver creato «Ratatouille», una app che permette di condividere il cibo in eccesso con i vicini di casa. Un modo semplice e veloce per evitare lo spreco di cibo. Sono loro i «re» di HACKathon101, la competition organizzata per giovani programmatori e sviluppatori da Confartigianato Vicenza all'interno della Settimana dell'Artigianato. Una gara che ha premiato progetti che hanno nella sostenibilità, economica ed ecologica, una caratteristica irrinunciabile.


I premi infatti, al termine di questa maratona di 24 ore, sono stati tanti: Stefano Contiero di Cassola avrà la possibilità di essere ospitato per tre settimane alla Business School di San Francisco, grazie a Mind the Bridge, per aver realizzato «Check_it», una app di check list sociale. Gli ideatori di «Water spot», una applicazione che permette di segnalare i punti di acqua potabile e non sul territorio, potranno frequentare per un anno l’incubatore aziendale Start Cube di Padova. Infine, «PSS», una app che aiuta il libero accesso alle persone con difficoltà motorie, ha vinto il premio messo in palio da Amazon, e Romano Menti con la app «Zero kilometri», che consente di reperire i mercatini con prodotti locali, si è aggiudicato il premio messo in palio da 24Oresoftware. Altri riconoscimenti sono andati alle app «Econfridge» e «Wheels», che potranno usufruire dei servizi virtuali di Start Cube. Un attestato fuori programma è andato anche ai ragazzi (due squadre) dell’Istituto «Fermi» di Bassano, con l’impegno di Confartigianato Vicenza a supportare ulteriormente le attività della scuola.

(Giornale di Vicenza 24.03.2013)